
Lo confesso: ho sempre avuto un certo entusiasmo geek. Ma non avrei mai immaginato che questo entusiasmo mi avrebbe portato a scrivere il primo libro in Italia sull’intelligenza artificiale per l’europrogettazione (disponibile su Amazon). Dopo oltre trent’anni di lavoro a Bruxelles tra bandi, programmi e partenariati internazionali, ho sentito il bisogno di fermarmi e mettere nero su bianco un’esperienza concreta: quella di chi vive la progettazione europea tutti i giorni, ma con lo sguardo aperto alle innovazioni che possono semplificarci la vita. E oggi, l’IA è una di queste.
Chi si occupa di finanziamenti europei lo sa bene: le regole cambiano di continuo, il linguaggio si aggiorna, i tempi si comprimono. Lavorare con programmi come Horizon Europe, Erasmus+, LIFE e molti altri richiede una capacità progettuale che deve essere allo stesso tempo creativa, metodologica e operativa. La pressione sulle scadenze cresce, i margini di errore si assottigliano, e ogni minuto guadagnato fa la differenza. È in questo contesto che l’intelligenza artificiale può davvero giocare un ruolo interessante.
Così, per capire davvero quanto l’IA potesse aiutare nella scrittura di progetti europei, ho deciso di testarla su un caso reale. Niente simulazioni accademiche, ma una vera e propria prova sul campo, con sei piattaforme diverse: ChatGPT, Gemini, Copilot, Claude, Perplexity e Notebook LM. Il risultato? Sorprendente, ma con qualche limite da non sottovalutare. Alcune piattaforme sono state capaci di fornire spunti utili, strutturare sezioni complesse e persino proporre idee progettuali originali. Altre hanno preso la tangente, con soluzioni più fantasiose che realistiche – come progetti per giovani unicorni che cavalcano dinosauri su Marte perfettamente allineati – dice l’IA – con gli obiettivi della Commissione. Sì, anche questo può capitare.
Il punto è che l’intelligenza artificiale può essere uno strumento molto efficace per generare idee, risparmiare tempo e ottimizzare risorse. Ma non sostituisce l’esperienza umana. Servono ancora il giudizio, la sensibilità politica, la conoscenza del contesto e la capacità strategica che solo un europrogettista può offrire. Il mio approccio è stato fin dall’inizio molto concreto. Ho scelto di raccontare ciò che funziona nel lavoro quotidiano, senza filtri teorici o modelli astratti. Chi scrive progetti europei sa che servono strumenti, sì, ma anche metodo, intuito e tanto mestiere. L’europrogettazione non è fatta solo di moduli da compilare o formati da rispettare: è fatta di storie, relazioni, contesti in movimento.
Siamo in un momento in cui il nostro mestiere sta cambiando, così come cambia il modo in cui affrontiamo la progettazione. Ma non è un cambiamento da temere: è una trasformazione che possiamo guidare, con curiosità, spirito pratico e anche un po’ di ironia. Perché sì, si può parlare di intelligenza artificiale e progettazione europea senza perdere di vista la realtà, e magari – ogni tanto – anche con il sorriso.